A parole tutte le aziende dicono che la formazione importante

Secondo la definizione fornita dall’Ocse, il capitale umano è costituito dall’insieme delle conoscenze, delle abilità, delle competenze e delle altre caratteristiche individuali che facilitano la creazione del benessere personale, sociale ed economico.

Il padre del concetto di capitale umano è considerato Theodore Schultz (1961), che per primo propone di considerare l’istruzione come una forma di investimento: sostiene infatti che essa sia una fonte di crescita economica, in quanto fa aumentare la produttività e i guadagni futuri delle persone, così che ogni aumento del reddito nazionale deriva dalla crescita dello stock di capitale umano di un Paese.

Ne abbiamo pieni gli occhi di pagine social, di report emersi dall’ultimo studio della Business School di tendenza o di “fantomatici esperti”, a volte improvvisati, di crescita personale, che ci dicono che la formazione è importante.

Nella realtà poi la formazione il primo capitolo di costo che si taglia nel momento in cui i conti non tornano.

Le aziende crescono solo ed esclusivamente attraverso le persone.

Se non viene erogata la formazione e le persone non vengono stimolate e la maggior parte di esse spegne il cervello e perde motivazione.

Nella mia esperienza di HR Manager ho incontrato competentissimi CFO, artefici di budget degni di voli pindarici olimpionici ma che, raramente, tenevano in considerazione uno dei costi che rende faticoso lo stare assieme delle persone nelle organizzazioni.

Il costo dell’ignoranza.

Un’azienda che decide di risparmiare in tal senso è un’azienda destinata a fare fatica.

Non è un caso che gli investimenti in formazione delle imprese italiane sono sotto il livello medio europeo, questo è quanto risulta da una ricerca svolta dall’Università La Sapienza di Roma.

Secondo l’OCSE in Italia c’è tanto da fare sul fronte della formazione continua, e c’è “urgenza”.

Aggiungerei anche “importante” perché fino a quando, chi si occupa di HR, non riuscirà a dare evidenza misurabile del valore della formazione e a farlo con costanza, riscontrando in modo pratico e tangibile i risultati della formazione, verrà alimentato sempre il cosiddetto “non serve a niente” di imprenditori o manager fermi ad una cultura di comando e controllo ormai obsoleta.

E’ fondamentale misurare la formazione. E’ una questione di metodo.

E’ necessario partire da una attenta analisi delle competenze utili in un certo momento ad una certa organizzazione e lavorando anche sullo sforzo cognitivo di pensare alle competenze utili in un’ottica di sviluppo futuro (3-5 anni circa) per individuare pochi items, ben descritti e condivisi.

Successivamente è sostanziale calare nella realtà tale analisi, chiedere alle persone di auto-valutarsi.

Processo importante questo per intercettare i “leoni dell’autostima” chi crede di essere il top performer dialogando sempre e solo con il proprio ego e viceversa, chi per carattere, soffre di scarsa autostima e che solitamente ha margini di crescita che in pochi riescono a vedere.

Successivamente si procede con la valutazione meglio se in forma trasversale, dall’alto vero il basso e viceversa. Dove sta scritto che solo chi è “in alto” debba valutare? In fondo i leader non vengono costruiti dai followers?

Poi sul gap che emerge (e solo sul gap che emerge tra valutazione ed auto valutazione) si può parlare di contenuti formativi. E’ poco utile farlo prima. Avete mai provato a sentire la tv con il volume spento?

E’ come erogare un corso di formazione sulla “comunicazione efficace” (tanto di moda) se poi alle persone mancano le competenze sull’ascolto.

Se non insegno alle persone a prendere il telecomando e alzare il volume e inutile insegnare alle stesse i principi della comunicazione efficace quando poi non sanno usare le orecchie per attivare il cervello.

Questo però posso solo saperlo se prima analizzo, con metodo, i gap di competenze nella mia organizzazione e poi, sempre con metodo e direi anche costanza misuro i progressi o i regressi durante l’arco dell’anno.

Misurare le competenze significa conoscere le persone e dare un’opportunità di sviluppo.

Il resto sono solo interventi (tanto per fare qualcosa e sfruttare l’ultimo bando finanziato) con il form-attore, l’animale da palcoscenico di turno. Ma questo, non è fare Risorse Umane, questo non è fare Relazioni Umane.

In tema di raccomandazioni L’OCSE suggerisce cinque azioni:

  • Rendere la formazione più inclusiva e accessibile a tutti;
  • Allineare la formazione ai fabbisogni;
  • Migliorare la qualità della formazione, uniformando gli standard di qualità dei sistemi di accreditamento regionali, e pubblicando informazioni sulla qualità degli enti di formazione;
  • Garantire finanziamenti adeguati, ad esempio attraverso risorse pubbliche che si aggiungano al contributo già versato dalle imprese ai Fondi Interprofessionali;
  • Migliorare il coordinamento tra vari attori, tra cui ministeri, regioni, Fondi Interprofessionali, centri per l’impiego, e Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti (CPIA).

Io le condivido con tutto il cuore. Ma serve metodo che possa rendere tangibile a chi investe in formazione (imprenditore o manager che sia) di valutare in termini pratici il ritorno.

Nota di riguardo in tutto ciò alla gestione del feed-back. Ma di questo parleremo nella prossima puntata.