“La pazienza è la più eroica delle virtù, giusto perché non ha nessuna apparenza d’eroico”. Giacomo Leopardi

La pazienza è strategica, è una cosa che si porta con sé, non come condizione passiva ma come una condizione dinamica e operativa.

Porti pazienza quando continui a fare quello che devi fare, anche in condizioni avverse e anche se ti pesa.
La pazienza ci sembra qualcosa di antico e del tutto fuori moda.

Oggi (e anch’io l’ho fatto) si usa più volentieri il termine resilienza o di antifragilità, più tosti – almeno in apparenza – e tecnologico, perché in origine rimanda al mondo dei materiali, e alla loro capacità di resistere ai colpi.

Eppure, “la pazienza è potere, altro che dote vittoriana fatta di passività!”, scrive senza mezzi termini Judith Orloff, psichiatra all’Università della California di Los Angeles. Che aggiunge: “dobbiamo riportare l’idea di pazienza nel ventunesimo secolo, ristrutturandola. La pazienza è uno stato attivo. Ci aiuta a gestire lo stress e la frustrazione, a mantenere il controllo anche nelle situazioni sfavorevoli e a rimanere centrati”.

La pazienza, insomma, non coincide con un atteggiamento remissivo e rassegnato. Non esprime una vocazione alla mediocrità o all’essere docili. E non è un automatismo, ma una scelta consapevole. La pazienza è la virtù dei forti, recita il proverbio, che ha, con patience is a virtue, anche un corrispondente inglese. È Giacomo Leopardi, nello Zibaldone, a sviluppare il concetto: la pazienza è la più eroica delle virtù, giusto perché non ha nessuna apparenza d’eroico.

La pazienza è anche la dote dei grandi comandanti. È quella che, durante la Campagna di Russia, guida il conte Fëdor Vasil’evič Rostopčin a pianificare una guerra fatta di ritirate strategiche, in attesa che sia il Generale inverno a piegare, e a sconfiggere, le truppe francesi.

E poi c’è Gandhi: perdere la pazienza significa perdere la battaglia, diceva.

E Sun Tzu, nell’Arte della guerra, il più antico trattato di arte militare, e ancor oggi uno dei più influenti testi di strategia: chi è prudente ed aspetta con pazienza chi non lo è, sarà vittorioso.

Viviamo in tempi accelerati e vogliamo ottenere qualsiasi cosa subito, cerchiamo gratificazioni istantanee, soluzioni e risultati immediati.

E l’urgenza di consumare (sì, di consumare) non solo beni, ma anche le gratificazioni, le soluzioni e i risultati, ci porta a trascurare la qualità di quello che otteniamo (basta che arrivi in fretta) e a esaurire in un battibaleno anche la soddisfazione per quanto abbiamo ottenuto.

Vogliamo tutto subito, come se non esistesse un futuro.

Comincio a sospettare che il maggior dono dell’essere pazienti, più ancora dell’evitare errori dovuti a fretta e superficialità, più ancora della calma, sia proprio quello di riconsegnarci un futuro.
Di fatto, la pazienza è intrinsecamente ottimistica e proiettata nel futuro. Si nutre di speranza, di lungimiranza e di fiducia. Ci permette di darci obiettivi a lungo termine e di conseguirli (ecco perché è una virtù strategica).

Un suggerimento per cominciare a essere (almeno un po’) più pazienti, potremmo, per esempio, considerare che insegnare o imparare qualcosa, ricordare qualcosa, riparare qualcosa, produrre qualcosa che ha valore, e perfino apprezzare qualcosa (si tratti di un ottimo pranzo, un bel paesaggio, un buon libro o una solida amicizia) chiede tempo.

Potremmo anche considerare che, quando siamo in una oggettiva situazione di disagio, l’impazienza brucia energie, accrescendo ulteriormente lo stress e quindi il disagio medesimo.

Non sempre la pazienza è “buona”: c’è anche la pazienza a denti stretti, quella che si esercita contro voglia e che lascia trasparire il fastidio che nasce dal non potersi sottrarre; è una sorta di pazienza sacrificale, estorta, che mette sgradevolmente in debito l’altro… Il fatto è che la vera pazienza, quella “buona”, è legata alla passione per la vita.

Quello che rende buona la pazienza (e dunque utile, talvolta anche allegra) è legato allo scopo per il quale la si esercita; ed è, ancora una volta, avere lo sguardo puntato fuori di sé, su una meta, su un obiettivo che ha valore per chi lo persegue.

Ed è anche accertato che l’essere pazienti è un tratto appreso. I bambini che imparano a essere pazienti hanno maggior autocontrollo da adulti, e tutto ciò è a sua volta correlato con minori difficoltà scolastiche. E poi con una vita più sana, più piena e più soddisfacente.

Per questo, e perfino se pesa un po’, portarci appresso una dose di pazienza può risultare assai utile. Perfino, o forse specialmente, nel turbine del XXI secolo.